La patria non ha frontiere

Berna, 31.07.2018 - Discorso della consigliera federale Sommaruga del 1° agosto 2017 a Muttenz. Vale il testo parlato.

Cari convenuti,
Onorevole consigliere di Stato,
Stimati rappresentanti delle autorità politiche,
Gentili Signore e Signori

Quando ho visto l'invito a questa Festa nazionale, mi sono ricordata di una cena da amici nelle vicinanze di Muttenz un paio di anni fa durante la quale il figlio di nove anni mi ha elencato le cose per lui peggiori al mondo:

  • primo: la guerra
  • secondo: il rabarbaro
  • terzo: se qualcuno mi dice che sono di Basilea.

Sapevo quindi che oggi non sarei venuta a Basilea, bensì nella regione basilese. E ho accettato con piacere. Su Muttenz mi sono state raccontate cose che mi piacciono.

  • Ad esempio il Campus del Polyfeld. L'ho visitato oggi pomeriggio - e avrei voluto subito iscrivermi. Mi ha impressionato la sua architettura. Mi hanno raccontato di un nuovo corso di studi che riunisce tre materie e tre nazioni - vi si avverte un'atmosfera sprizzante e creativa che presto farà parte di Muttenz. M'immagino i molti giovani interessati provenienti da tutta la Svizzera e dall'estero che s'incontrano e discutono negli spazi del Campus e nei caffè di Muttenz.

  • Mi hanno raccontato anche del porto, che, insieme agli altri due porti del Reno, costituisce una piazza commerciale importante e nel contempo è una porta della Svizzera che si affaccia sul mare e sul mondo.

Quest'apertura e cordialità mi piace. Non è da tutti.

Noi tutti lo percepiamo: il mondo è meno tranquillo, più complesso.

Nel mondo, 68 milioni di persone sono in fuga; così tante come non mai. Lasciano il loro Paese a causa di guerre, violenze o persecuzioni. Perché le infrastrutture di base per la sopravvivenza - le condutture dell'acqua, le scuole e gli ospedali - sono state distrutte.

Questa situazione mi preoccupa. E non sono la sola a provare sconforto quando vedo che governi importanti riducono il loro impegno per la pace.

Anche l'Europa è meno tranquilla.

Mi sembra che intorno al nostro Paese sia in corso una specie di gara. Chi si esprime in maniera più ostile nei confronti dei rifugiati? Chi propone misure ancora più rigide per impedire alla gente di raggiungere l'Europa?

Tutto questo non dovrebbe farci riflettere? Soprattutto perché cinque rifugiati su sei non sono in Europa. L'85 per cento dei rifugiati si trova nei Paesi più poveri del mondo. Di loro dovremmo occuparci - e di coloro che, ad esempio in Giordania o in Etiopia hanno poco e devono condividere la loro poca acqua e la loro terra secca con i rifugiati.

Quindi non è assolutamente vero che tutti i rifugiati vengono in Europa. Ma se non ci tocca più il destino di chi è in fuga, allora anche noi perdiamo qualcosa della nostra umanità.

Anche se alcuni migranti non sono bisognosi di protezione e devono lasciare il nostro Paese, nessuna legge ci impone di chiuderci nei loro confronti; soprattutto se non hanno più una patria.

Ma cosa significa essere senza patria?

Sono stati condotti sondaggi su cosa significhi "patria": molti rispondono: "La mia patria è il lago di Costanza", "Il lago di Thun" o "Il lago di Zurigo, ovviamente!" altri: "Il Säntis" "La segnaletica gialla dei sentieri escursionistici".

Per molti, patria significa anche la propria cultura e tradizione: le campane della chiesa, lo sci, la bettola. Ma per la maggior parte la patria è la famiglia, sono i propri cari.

Per me non è diverso. L'Aare e il bosco del Gurten sono importanti, ma ancora più importanti sono le persone che mi sono più vicine.

"Mi sono più vicine" è un modo di dire che sa un po‘ di geografia e mi sono chiesta se ci siano dei confini. Dove finiscono i miei cari? Al recinto del giardino? Al confine cantonale o nazionale? Perdono la loro importanza se mi trovo all'estero?

Ovviamente no. Al contrario: all'estero abbiamo nostalgia di casa, ci mancano le persone che sono parte della nostra vita, che sono qui per noi quando non stiamo bene.

Ci sentiamo senza patria, quando non abbiamo nessuno che ci sta veramente vicino. In tal caso ci manca la cosa più importante. Sentirsi a casa non è legato a un luogo. Le persone che sentiamo vicine possono farci sentire a casa ovunque.

Qui a Muttenz, ad esempio, dove da due anni è stato aperto il centro d'asilo federale Feldreben. Voi avete permesso ai rifugiati di diventare parte della vostra cittadina. Non era scontato che Muttenz acconsentisse all'apertura del centro della Confederazione e neppure che ora fosse disposta a prorogarne l'esercizio. Per questo desidero ringraziare voi tutti. Permettete a estranei di essere vostri vicini e di sentirsi a casa. Li salutate e forse vi fermate a chiacchierare con loro. In questo modo offrite loro una patria, anche se soltanto temporanea.

Una patria che è disposta ad essere patria anche per altri.

E ora devo confessarvi: forse ho capito male il figlio dei miei amici? Forse con il suo elenco delle cose peggiori mi voleva dire che in fondo non importa essere di Basilea Città o Basilea Campagna; che c'è di peggio - ad esempio il rabarbaro.

 


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