Iniziativa popolare "Per il rafforzamento dei diritti popolari in politica estera": dichiarazione della consigliera federale Simonetta Sommaruga

Berna, 20.03.2012 - Vale il testo parlato.

Signore e Signori,

rafforzare la democrazia diretta; potenziare la codecisione in materia di politica estera. Sono questi gli accattivanti argomenti addotti dai fautori dell'iniziativa popolare «Accordi internazionali: decida il Popolo!». Chi mai potrebbe avversare tali intenti? Lo fanno il Consiglio federale e il Parlamento, raccomandando di respingere l'iniziativa. Oggi in questa sede ve ne illustrerò i motivi insieme al mio collega di governo Johann Schneider-Ammann.

1. Chi decide sui trattati?

I trattati - ossia gli accordi tra la Svizzera e altri Stati - fanno parte dell'ordinaria amministrazione politica del nostro Paese. Sono circa 500 i trattati conclusi ogni anno. Il loro scopo è di definire in termini vincolanti le relazioni tra due o più Stati. Ciascuno Stato contraente sa quindi cosa può pretendere e aspettarsi dall'altro e cosa deve a sua volta adempire. Un trattato che non rispecchiasse più le condizioni effettive può essere modificato di comune accordo o denunciato a titolo unilaterale. Il tutto non differisce molto da quanto facciamo ogni giorno in veste di privati cittadini: stipuliamo contratti di compravendita e di locazione, rescindiamo contratti assicurativi o modifichiamo le condizioni ipotecarie.

Parlando di trattati le domande decisive sono: chi può stipularli a nome della Confederazione? A chi la decisione di assumere un impegno giuridicamente vincolante con un Paese straniero?

  1. Consiglio federale e Parlamento
    La Costituzione federale fornisce una risposta valida e consolidata a tale domanda: i negoziati sono condotti dal Consiglio federale, nella cui competenza rientra spesso anche la conclusione autonoma di trattati internazionali. Quelli importanti, tuttavia, richiedono il benestare del Parlamento, che può bocciare un trattato sul quale dissente - come accaduto all'accordo sui servizi aerei con la Germania.
     
  2. Referendum facoltativo
    L'ultima parola però non spetta sempre al Parlamento. Sono infatti sottoposti a referendum facoltativo i trattati indenunciabili e di durata indeterminata o contemplanti l'adesione della Svizzera a un'organizzazione internazionale. Il referendum riesce se sono raccolte 50 000 firme, e in tal caso è indetta una votazione popolare. Nel 2003 tale diritto è stato ampliato per comprendere anche i trattati la cui attuazione richiede la modifica di una legge federale. Rientra ad esempio nella categoria l'estensione della libera circolazione delle persone a Bulgaria e Romania. Nel caso in specie era necessario modificare la legge ed era appunto stato lanciato il referendum contro l'accordo, poi promosso alle urne con pressoché il 60 per cento dei suffragi.
     
  3. Referendum obbligatorio
    I trattati di importanza fondamentale per il nostro Paese sono addirittura soggetti a referendum obbligatorio. Rientrano nella categoria le adesioni a una comunità sopranazionale o a un'organizzazione per la sicurezza collettiva. In questi casi il Popolo e i Cantoni sono consultati in automatico, senza alcuna raccolta di firme. Tale eventualità si è finora verificata in due occasioni: l'adesione alle Nazioni Unite negli anni Ottanta e l'entrata nello Spazio economico europeo (SEE). La doppia maggioranza di Popolo e Cantoni costituisce del resto una condizione sine qua non anche per un'eventuale adesione all'Unione europea (UE).
     
  4. Conclusione: il sistema funziona
    Ne emerge chiaramente che già oggi il Popolo ha la facoltà di imprimere la rotta della politica estera svizzera: la consultazione popolare è difatti obbligatoria nel caso di trattati decisivi per l'orientamento della Svizzera. Gli elettori decidono anche in merito a tutti gli altri trattati che esulano dall'ordinaria amministrazione in materia di politica estera, purché sia stata indetta una votazione in via referendaria.
     
    Le possibilità di codecisione che la democrazia diretta offre agli elettori svizzeri sono uniche al mondo. Oltre alla Svizzera sono pochissimi i Paesi che consentono alla propria popolazione di concorrere a tante decisioni materiali e di stabilire «in prima persona» la rotta della politica nazionale. L'esercizio di tali diritti anche in materia internazionale è un'ulteriore peculiarità che non ha praticamente eguali al mondo. A buon diritto ne andiamo fieri.

2. Per l'ASNI non basta mai!

Ma all'Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI) tutto ciò non basta. L'ASNI accusa il Consiglio federale e il Parlamento di servirsi dell'attuale sistema per stipulare trattati alle spalle del Popolo e preparare la furtiva adesione all'UE. Ecco perché con la sua iniziativa intende capovolgere l'attuale sistema di democrazia diretta. Tale iniziativa è però eccessiva, fumosa e fonte di costi inutili.

  1. Troppa obbligatorietà stroppia
    L'iniziativa popolare implica il suffragio anche su trattati di indiscussa valenza politica. Nell'ultima sessione il Consiglio nazionale ha ad esempio approvato a larga maggioranza una convenzione sulle munizioni a grappolo. L'affare non ha incontrato resistenze politiche degne di nota. Eppure, in ossequio all'iniziativa dell'ASNI, ora andrebbe per forza posta in votazione popolare. È una logica che non ci appartiene: infatti non votiamo su ogni singola legge federale, ma soltanto su quelle contestate da parte della popolazione in via referendaria. Lanciando il referendum, gli elettori segnalano l'importanza che attribuiscono a un determinato affare e il desiderio di avere voce in capitolo. Lo stesso vale per i trattati - ed è sufficiente. Chiedere di più è semplicemente inutile. Certo, i comitati referendari guadagnerebbero tempo perché non dovrebbero raccogliere firme. In compenso lo Stato, chiamato a indire votazioni futili, finirebbe per doversi addossare oneri superflui.
     
  2. Non tutto è ciò che sembra
    Il comitato d'iniziativa asserisce che in passato numerosi trattati sono stati stipulati alle spalle del Popolo. Adduce a titolo di esempio i contributi di coesione versati dalla Svizzera ai nuovi Stati UE e cita altri trattati che a suo dire s'intende dissimulare, quali l'accordo di libero scambio agro-alimentare o quello sulla prestazione di servizi, entrambi con l'UE. Inoltre, sempre stando all'ASNI, andrebbero sottoposti al Popolo e ai Cantoni anche tutti gli accordi di doppia imposizione.
     
    Proprio questo elenco di presunti «peccati» palesa che lo scopo è di dare a intendere lucciole per lanterne: molti dei casi addotti dal comitato non rientrerebbero infatti nel campo di applicazione dell'iniziativa.
     
    Cito a titolo di esempio il contributo di coesione: saprete di certo che in merito la Svizzera non ha stipulato alcun trattato, ma ha rilasciato una semplice dichiarazione politica - l'affare non sarebbe quindi stato posto ai voti nemmeno dopo un sì all'iniziativa. A tutt'oggi la Svizzera non ha concluso un solo trattato che la impegnasse a pagare più di 100 milioni l'anno o più di un importo unico pari a un miliardo. In proposito l'iniziativa si dimostra quindi senza effetto alcuno.
     
    O prendiamo l'esempio delle convenzioni di doppia imposizione (CDI): negli ultimi due anni il Parlamento ha adottato 23 CDI. Altre dieci sono pendenti. Significa che negli ultimi due anni gli Svizzeri avrebbero dovuto votare anche su questa buona trentina di trattati? Sarebbe alquanto assurdo. Ad ogni modo l'iniziativa non risponde a tale quesito.
    Insomma, il testo stesso dell'iniziativa non permette ai suoi promotori di onorare le promesse fatte.
     
  3. Fumosi «settori importanti»
    L'iniziativa presenta un altro grave difetto: impone il referendum obbligatorio esclusivamente per i cosiddetti «settori importanti». Finora nessuno è stato in grado di specificare cosa s'intende per tale termine.
     
    La Costituzione non distingue tra affari politici importanti e non. Tutte le materie disciplinate dalla politica federale sono - tematicamente parlando - di pari importanza. Per contro, la Costituzione contrappone le «disposizioni» importanti a quelle che non lo sono - ma il concetto non è assolutamente assimilabile ai «settori importanti».
     
    Le disposizioni importanti sono quelle che richiedono una base legale.

3. Aspetti pregiudizievoli latenti nell'iniziativa

Il Parlamento raccomanda a larga maggioranza di respingere l'iniziativa (nella votazione finale, il Consiglio nazionale l'ha respinta con 139 voti contro 56 e un'astensione, il Consiglio degli Stati con 36 voti contro 6 e un'astensione). Un sì all'iniziativa comporterebbe oneri elettorali del tutto spropositati, nonché ostacoli non irrilevanti per la nostra politica estera. Difficilmente la Svizzera continuerebbe a essere considerata un partner affidabile. Infatti, al contrario di quanto accade oggi, per la Svizzera sarebbe difficile dire ai suoi partner se il trattato scaturito dai negoziati debba ancora superare lo scoglio del suffragio popolare. Alla luce dei grossi ritardi spesso insiti nelle votazioni popolari, tale aspetto non va sottovalutato.

Chi respinge l'iniziativa è contro il Popolo - dicono i promotori. Tacciano il Consiglio federale e il Parlamento di sfiducia nei confronti dell'elettorato. Niente di più sbagliato: chi giudica la qualità della democrazia misurando esclusivamente la frequenza e la quantità degli oggetti posti in votazione non ha fiducia negli altri organi statali e rimette in questione la loro legittimità. I diritti e i doveri - anche quelli del Parlamento e del Consiglio federale - sono stati stabiliti con iter democratico. Saremmo veramente una democrazia migliore se il Popolo fosse chiamato a votare su tutti i circa 500 trattati che la Svizzera stipula ogni anno? Ne dubito.

Del resto il Popolo non vota nemmeno su tutti gli affari attinenti al diritto nazionale.

Approvando l'iniziativa popolare si stravolgerebbe completamente il sistema di gestione degli affari esteri, esautorando il Consiglio federale e il Parlamento e facendo della Svizzera un attore inaffidabile sullo scacchiere internazionale.

Ecco perché il Consiglio federale e il Parlamento raccomandano di respingere l'iniziativa.

Passo ora la parola al consigliere federale Schneider-Ammann, che illustrerà le possibili ripercussioni economiche di un sì all'iniziativa.


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Ultima modifica 19.01.2023

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